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Ma il vero problema dell’economia americana è il dollaro
Secondo i sondaggi, fra Kamala Harris e Donal Trump doveva essere un testa a testa fino all’ultimo voto; invece è finita con la vittoria netta del tycoon.
Oltre alla presidenza, ha conquistato anche la maggioranza di camera e senato potendo così concentrare nelle sue mani un enorme potere. Ha vinto basando tutta la sua campagna elettorale sulla promessa di riportare gli Usa agli antichi splendori. Make America great again (Fare l’America di nuovo grande) ha ripetuto ossessivamente per tutta la campagna elettorale. Come? Espellendo gli immigrati illegali perché “rubano” il lavoro agli americani; tagliando il budget federale di due trilioni di dollari in due anni, a cominciare da quello relativo alla spesa sociale; imponendo pesanti dazi su tutte le importazioni ivi comprese quelle dai paesi dell’Unione europea e cinesi in modo particolare. E, dulcis in fundo, riducendo ulteriormente le imposte sui profitti in coerenza con il dettato neoliberista secondo cui la maggiore ricchezza accumulata dai più ricchi sgocciola verso gli strati inferiori della società generando così benessere per tutti. Gli hanno creduto, nonostante negli ultimi decenni sia accaduto esattamente il contrario: i ricchi sono diventati sempre più ricchi e la classe lavoratrice sempre più povera.
Tra capitalismo e umanità è ormai questione di "o lui o noi" (H. Kempf)
Non appena si profila la possibilità di un qualche accordo che possa far tacere le armi fra la Russia e l’Ucraina, anche solo con un armistizio o una tregua più o meno lunga, c’è sempre un qualche Stoltenberg, o un qualche suo emulo, che anziché adoperarsi affinché vada in porto, fa di tutto perché la guerra continui e si intensifichi, benché l’Ucraina sia ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Non si fa altro che prometterle aiuti in armi sempre più potenti nonostante la maggior parte degli esperti in questioni militari avverta che, visti i reali rapporti di forza, sia materialmente impossibile che Kiev possa sconfiggere la Russia a meno che non intervenga direttamente la Nato con i suoi uomini e i suoi mezzi che, però, sarebbe quella terza guerra mondiale che tutti dicono di non volere, temendo che si trasformi in uno olocausto nucleare che metterebbe a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana. Né le cose vanno diversamente per quel che riguarda il conflitto fra Israele e Hamas. Non passa giorno che gli Stati Uniti e la maggior parte dei loro alleati/vassalli non invochino la fine della mattanza a Gaza, ed ora anche in Libano, e il riconoscimento dello Stato palestinese secondo la formula "due popoli, due stati", nel mentre, però, forniscono a Israele ogni sorta di armamento.
Al pari dello sfruttamento della forza-lavoro, la guerra permanente
è diventata condizione di esistenza della borghesia,
pertanto non potrà esserci pace finché permane il suo dominio sulla società.
Nonostante il frastuono martellante della propaganda bellicista, dovrebbe essere impossibile non udire il rumore cupo dei corpi delle centinaia di migliaia di esseri umani inermi che la guerra imperialista permanente frantuma allo stesso ritmo di una catena di montaggio. Eppure non è così. Fa più rumore l’abbandono di un cane o di un gatto “in tangenziale” che la strage di migliaia di donne e bambini innocenti. Si dirà: “ma è la guerra, è stato sempre così”. Certo, è innegabile che le guerre hanno sempre comportato morte e distruzione così come è innegabile che già dalla Seconda guerra mondiale in poi a pagarne il prezzo maggiore è stata sempre più la popolazione civile.
A sentire i commenti della presidente del consiglio, dei suoi ministri e parenti vari, nonché degli esponenti dei partiti di maggioranza, l’ultima legge di bilancio è destinata a fare dell’Italia una sorta di giardino dove è sempre primavera, soprattutto per i lavoratori e le fasce sociali meno abbienti. Occupazione alle stelle, bonus a favore della maternità (ma solo per le lavoratrici con almeno due figli), taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, fondi per ridurre le liste di attesa nella sanità pubblica; insomma, l’Italia come mai prima d’ora, come se San Francesco, il suo protettore, si fosse reincarnato in Giorgia Meloni consentendole almeno un miracolo al giorno, ovviamente sempre a favore degli “ultimi”.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
L’omicidio di Giulia Cecchettin ha sollevato un movimento di indignazione generale, che trova la sua espressione maggiore nella critica al patriarcato e alla violenza che quest’ultimo implica nel subordinare la donna all’autorità maschile. Per poter frenare gli effetti di tale modello socio-culturale, si fa appello soprattutto alle Istituzioni e al loro intervento, affinché si possa risolvere il problema della violenza di genere con un inasprimento delle pene e con delle campagne volte a rieducare dal punto di vista sentimentale ed emotivo gli uomini, in direzione di una maggiore parità. Ma è veramente questa la strada giusta per risolvere il problema della violenza, che sia di genere o meno?